SÒCRE E NÒRE

(SUOCERE E NUORE)

Forse pecché só femmene,

‘a vita ha ngiulusite,

vonno tutto pé lloro

sia ‘o figlio ca ‘o marito.

‘O vonno bene assaje

e pé nci ’o dimustrà

nun passa ‘na jurnata

senza s’appiccecà!

‘A prima l’ha crisciuto,

l’ha fatto, l’ha allattato.

‘A moglie, puverella,

però se l’è spusato.

Chi ‘ngotte è sempe ‘o figlio,

nun sape addò se sparte.

Vo bene overo ‘a mamma,

ma ‘a moglie è n’ata parte.

Nenné, nce vò rispetto:

‘a mamma è sempe mamma.

Quanto cchiù appicce ‘o ffuoco

chist’odio cchiù se ‘nfiamma.

Tu, vicchiarella, invece

fernìscela ‘e nciucià.

Tu pure hê stata nòra

e nun t’‘o puó scurdà.

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Versione in italiano: Forse perché sono donne, la vita le ha ingelosite. Vogliono tutto per loro sia il figlio che il marito.

Gli vogliono bene assai e per dimostrarglielo non passano una giornata senza litigare.

La prima l’ha cresciuto, l’ha fatto, l’ha allattato. La moglie, poverina, però lo ha sposato.

A subire è sempre il figlio, che non sa da che parte schierarsi: vuole bene alla mamma, ma anche alla moglie.

Piccola mia, ci vuole rispetto: la mamma è sempre mamma. Più accendi il fuoco  più quest’odio si infiamma.

Tu, vecchierella, invece smettila di spettegolare. Anche tu sei stata nuora e non te lo puoi scordare.

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‘A PARTITA CU ’A MORTE

(LA PARTITA CON LA MORTE)

Stavota so’ fottuto,

non ce sta niente ‘a fa.

‘A fine, sta partita

ognuno addà jucà.

Nun serve ‘na bravura

oppure bona sciorta:

nisciuno ha mai vinciuto

jucanno contro ‘a Morte.

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Versione in italiano: Questa volta sono fottuto, non c’è niente da fare. Alla fine, questa partita ognuno la deve giocare.

Non serve una bravura oppure buona sorte: nessuno ha mai vinto giocando contro la morte.

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Ciro Puopolo nasce a Nocera Superiore (SA) nel 1945. Arrivato alla quinta elementare, decide di fermarsi perché, come dice lui, “non ero portato”. I genitori, che gestiscono un bar-pasticceria, gli impongono di aiutarli nella loro attività.

Nei rari momenti di svago, si rende conto di possedere un vero talento per il calcio, tant’è vero che a 15 anni è contattato da un grande Club del Nord che cerca nuove promesse per il proprio vivaio. I suoi, però, negano la necessaria autorizzazione e il sogno svanisce.

In seguito, scoprendo in sé un acuto spirito d’osservazione, inizia a scrivere poesie in dialetto attraverso le quali registra fatti e modi di essere delle persone che frequentano il suo locale. E quando le rilegge, il più delle volte si stupisce di esserne l’autore.

Molti conoscenti che ne leggono alcune (sono più di 500) lo invogliano a pubblicarle.

“Perché mi piacerebbe farle conoscere?” dice oggi Ciro Puopolo. “Perché, dopo aver trascorso quasi tutta la vita a chiedermi se sarei potuto diventare un bravo calciatore, non vorrei passare gli anni che mi restano a chiedermi se le cose che scrivo sono o non sono belle.”