Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico Garcia Lorca di Lorenzo Spurio

PoetiKanten Edizioni, Sesto Fiorentino, 2016

Recensione di Ilaria Celestini

 

COVER GARCIA_3_NEW-page-001Recensire questa recentissima plaquette di Lorenzo Spurio, che reca il sottotitolo “recitativo dell’assenza per Federico Garcia Lorca” è impresa ardua. Per la complessità dell’argomento e per la peculiarità dell’opera.

Perciò qui sembra più opportuno abbozzare qualche nota di lettura, lasciando al lettore il piacere dell’approfondimento.

Il testo è un compianto del grande poeta spagnolo, e, in dodici liriche scandite  ritmicamente in crescendo, compone una vera e propria elegia; ma, a differenza degli stilemi di composizione classici, che si fregiano solitamente di un registro aulico, qui troviamo un lessico ordinario, realistico, volutamente ‘greve‘.

Perché greve, oltre che grave, è l’assenza di Federico Garcia Lorca, prematuramente strappato alla vita, alla poesia, all’impegno civile, alla passione e alla riflessione sull’esistenza; così greve, che le allusioni drammatiche al disfacimento del suo giovane, splendido corpo, impregnano le parole dei componimenti e insieme ogni lembo della sua terra dalla bellezza struggente e intensa, e innalzano al Cielo un grido lacerante.

Il compianto di Lorenzo Spurio non è un sussurro; sebbene espresso con una consistente sostenutezza formale, da registro aulico, questo omaggio è un urlo.

Geme di dolore, la coscienza del critico, di fronte alla desolazione dell’ineluttabile; freme per la sofferenza, la consapevolezza etica del giovane intellettuale di fronte alla barbarie che non ha rispetto né della libertà né dell’arte,  e anzi infierisce sul corpo credendo in tal modo di annullare lo spirito.

Dodici modulazioni del dolore poetico per gridare l’assenza.

Manca all’umanità contemporanea, sembra proclamare l’Autore, quella lucida coscienza che sapeva cogliere l’essenza dell’umano vivere così come ogni minima sfumatura del reale; ed è proprio nel non-esserci che il silenzio della memoria, storica ma anche affettiva, dato che il Poeta per antonomasia entra nell’anima e la penetra, se ne fa voce e vessillo, diviene presenza.

Presenza dirompente, è l’assenza, che gronda dalle pietre del carcere amaro, che trasuda dalle zolle e impregna le foglie, gli umori del bosco, mescolando dissoluzione e putrescenza con il profumo dei ciclamini e l’anelito all’immortalità.

Tutta questa elegante anche se non facile opera, sembra narrare, anzi, testimoniare la potenza della parola poetica che vince la morte, anche quando le membra vengono massacrate e la corporeità violata: anche quando il Poeta in senso fisico giace annientato, i valori del suo vivere e più ancora del suo scrivere, vivono e sono viva presenza, in noi, idealmente chiamati a raccoglierne il doloroso, difficilissimo e insieme irrinunciabile testimone di umanità e cultura intesa come impegnata e appassionata idealità.

 

Ilaria Celestini

(critico letterario, specialista in Lingua e Letteratura Italiana, poetessa e scrittrice)