La mia nascita fu poca cosa
La mia nascita fu opera di un male
orfano di padre: la bestiale
infermità che mi diede posa,
le insegnò presto che la vita
è poca cosa, e non conosce cura,
e se livida gli occhi e ti ammala,
il suo bacio esige sutura.
Per diec’anni non ebbi viso,
coprii la vergogna di altre
mani – inverai grazie a un solo
fiordaliso.
La mia nascita fu poca cosa,
ancor più la mia vita:
venni al mondo muto d’amore.
Qualcosa di sangue scendeva
tra le ciglia e le sature guance
colme di tagli, tra i resti di qualche
morso, e l’acqua ferrosa
che li bruciava.
Insinuarti nelle dolci pieghe
della mia trincea, cercando
di fare poco silenzio, di non
annegare, naufraga di troppo
splendore. E dove, scivolando
la mano, finiva la pelle, io poi
gravavo col palmo nel freddo
dell’aria e dicevo “Vedi?
Finisco. Come puoi amare il finito?
Se mi oltrepassi tu perdi”.
Ma poi coglievi le mie mani
disperse nell’aria,
e come a fare verso dicevi
“Vedi? Continui. Se navighi
intorno al tracciato poi torni”
E via a riportarmi sui miei fianchi
come per farmi capire che esisto
e che ogni altra cosa dovrebbe
contare meno che questo.
E bastava guardarti per farti
capire che ogni altra cosa per me
contava davvero meno che questo.
Tranne la morte,
e forse che stasera
sei bella da ammutolire.
Riccardo Delfino nasce a Roma il 28 settembre 2000. Inizia a scrivere dai suoi 11 anni. Nel 2012 vince il secondo posto al concorso “Leoni di ferro” e il primo premio al concorso città di Casoria “Le parole dell’anima”. È un arbitro di calcio e studia filosofia all’università “La sapienza” di Roma.