Commento a Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico Garcia Lorca

opera poetica di Lorenzo Spurio

Commento critico a cura di Lucia Bonanni

 

“Il mio cuore è un poco d’acqua pura”

                                     F.G. Lorca

“Quando spunta la luna/ il mare copre la terra/ e il cuore si  sente/isola d’infinito”

F.G. Lorca

“Se vado via, ti desidero di più.

Se resto, ugualmente ti desidero”.

                              F.G. Lorca

 

lorcaLa riflessione su Federico Garcia  Lorca apre un discorso fluente, impetuoso e suggestivo. Artista completo, geniale nel suo modo di essere e protagonista della scena letteraria, accompagna la propria creatività al rigore della  cultura e della tradizione popolare. Nella sua ampia produzione letteraria è evidente la fusione tra le diverse argomentazioni di scrittura che si intersecano e si arricchiscono in percorsi speculari. Quale  autore di teatro, Lorca dilaga nella poesia ed è acqua sorgiva che zampilla  in armoniosa grazia.

“Era gaio come il sole. Aveva un’allegria comunicativa (e) tutto (faceva) in maniera spontanea e splendida”. Alle parole di Neruda si aggiungo quelle di R. Alberti che insieme a Federico condivide la comune radice Andalusa: “la prima cosa che sorprendeva in (lui) era la sua simpatia e la delirante passione per la poesia e la musica”, ed ancora V.Aleixandre afferma “lo si può paragonare a un’acqua o una roccia, magico come una foresta. Era tenero come una conchiglia sulla spiaggia (e) la sua presenza suggeriva sempre associazioni con semplici elementi naturali”. Ed infine J.Guillén che ricorda come “Federico fu una creatura straordinaria, (che) metteva in contatto con la Creazione”.

Lo spettacolo é comunicazione, incontro, colloquio, dialogo ed é il talento di Lorca a rappresentare e rendere visibili le immagini della fantasia che trova espressione concreta nel dare “presenza fisica e tangibile alle idee” nella trasfigurazione scenica. Il teatro è base della eclettica creatività di Federico e la sua presenza si fa vibrante nella finezza della sua poesia. “Niente letteratura: teatro puro” come ebbe a dire il Poeta alla nascita di quello che è considerato il suo capolavoro: La casa di Bernarda Alba. La sua passione per il teatro si esplica in due direzioni: una è la produzione personale e l’altra l’attività divulgatrice. “La Barraca”, una sorta di Carro dei Tespi, presenta ad un pubblico di contadini le opere dei classici spagnoli, Cevantes, Lope de Vega, Tirso de Molina, Calderon de la Barca e programma una politica culturale. “… per essa ho molte volte tralasciato di scrivere un verso o di concludere una commedia”. Per l’attuazione del progetto Lorca impegna il proprio estro anche come  musicista e disegnatore di schizzi e bozzetti per le scene e i costumi. “Il teatro è la poesia che si solleva dal libro e si fa umana” mentre l’ampia gamma di motivi confluiscono nella sua ispirazione a cui fa da sfondo l’ambiente andaluso. Particolarmente incisivo nella sua tragedia è l’intervento del coro a contrappunto e sostegno dell’azione scenica anche in onore alla tradizione classica. In Lorca ,come già in Eschilo, il coro si affianca agli attori e, permettendo lo scambio dialogico tra le parti, dà maggiore drammaticità all’opera. Come Eschilo anche Lorca nei suoi drammi racconta saghe di intere famiglie e nella nemesi storica indica l’affermarsi di una profonda coscienza sociale che mira a ristabilire gli equilibri infranti dall’uomo.

Così scrive Lorenzo Spurio nel suo ultimo saggio sul teatro di Federico Garcia Lorca:

“In un’intervista Lorca aveva affermato che il teatro “deve farsi vita”, deve cioè non solo dar rappresentazione di un testo scritto da un drammaturgo, ma trasmettere quel quid emozionale necessario nello spettatore affinché lo coinvolga, magari frustrandolo o impressionandolo, al punto tale da farlo credere che ciò che si staglia al di là del corsetto del teatro, non sia altro che qualcosa di reale, un evento che sta accadendo proprio in quel momento al quale lo spettatore/voyeur assiste in maniera quasi inconsapevole nutrendo man mano una desiderio maggiore di comprensione sull’intera vicenda. Chiaramente è la tragedia il campo di applicazione nel quale Lorca riesce in maniera stupefacentemente vivida a realizzare ciò, non mancando di tessere con acume quelli che sono gli scenari storici delle vicende che narra, le ambientazioni agresti di provincia e il sistema (arcaico) di relazioni uomo/donna e uomo/società. Trovo, però, che l’effetto di re-vivificazione dell’anima popolare si trovi anche in un precedente lorchiano, in un’opera che non possiamo definire tragedia, ma che commedia non è e che Lorca definisce nel sottotitolo “Farsa violenta in due atti e un prologo”. Si tratta de La Zapatera Prodigiosa. Il genere della farsa, come si sa, impiega vari espedienti quali la finzione, il travestimento, la giocosità dei personaggi, l’incomprensione, il ribaltamento di caratteri/situazioni all’interno di quella che appare come una situazione reale che, invece, con un processo di agnizione più o meno caratteristico, porta poi a svelare il non detto, il taciuto, il volutamente inespresso, la bugia, l’espediente architettato per inscenare ilarità, prendersi gioco dei personaggi o metterli in ridicolo per vedere come in realtà possono comportarsi in una situazione di finzione, quasi al limite, per farne risaltare la componente caratteriale”.

lorca (1)La poesia di Lorca nasce con l’uomo e supera ogni speculazione che va a scalfire la genuinità dell’ispirazione. “Ho il fuoco nelle mani… ma non posso parlare di lui senza letteratura”, afferma per sottolineare il rapporto tra cultura e ispirazione poetica e aggiunge che “la poesia è qualcosa  che va per le strade, che si muove, che passa al nostro fianco, per questo concepisco la poesia come realmente esistente”, un qualcosa che denota e connota il tono epico e sociale della sua poetica. Tre diversi momenti offrono la possibilità di esaminare la sua produzione scritta in un arco di tempo che va dal 1917, anno della sua prima pubblicazione, al 1936 anno della sua morte. Il primo momento è quello romantico- simbolista, il secondo è quello delle Suites e del Poema del cante jondo, le Canciones e il Romancero gitano mentre il terzo si rifà alla sua esperienza newyorkese ed è contraddistinto dal fremito del duende che si ritrova in Poeta a new York, Llanto por J.S. Mejias, Seis poemas galegos, Divàn del Tamarit e Sonetos de l’amor osbscuro. “Mi disturba un po’ il mio mito di gitaneria”, scrive all’amico J.Guilén, ma è fuori discussione che Lorca trova nel folclore della propria Terra le radici della sua attività letteraria anche se poi finisce per allontanarsi dall’elemento folclorico e non è un caso, se tale evoluzione è parallela a quella della musica di E. de Falla. Nella conferenza su Gòngora Lorca afferma che un poeta deve saper usare i cinque sensi corporali nell’ordine  vista.tatto-udito-olfatto-gusto e indica la metafora quale precisa regola di stile. Il personaggio che si ricava dal Cancionero è “la Pena” che non è la malinconia o la nostalgia, ma un sentimento legato alla spiritualità e all’immaginazione. È questo modo di fare poesia che Federico chiama “spiritualista, emozione pura, scarnificata, libera dal controllo logico, sottoposta ad una tremenda logica poetica” e per questo raccomanda la poetica del duende per capire la poesia e per “battezzare con acqua scura tutti coloro che la guardano”. L’amore come fonte di dolore è la costante dell’ispirazione lorchiana per quel senso di angoscia profonda che conduce il poeta oltre le siepi che limitano l’orizzonte e a svegliare il demone “nelle ultime stanze  del sangue”. La sua poesia è voce di riscatto di tanto emarginati che ha voluto aprirsi verso il mondo, si svela come un “paradiso chiuso per molti, giardini aperti per pochi” , è poesia etica e sociale. Nel suo trattato sulla poesia civile Spurio dice che

“il poeta sociale non punta alla mera descrizione di un quadro sociale per la divulgazione o una maggiore solidarizzazione sul caso, ma si arma della parola perché non è in grado di contenere l’ira, lo sconcerto, il disprezzo che nutre e ha bisogno dunque di sfogarsi. La liberazione dei pensieri che lo assalgono non corrisponde alla risoluzione delle problematiche ma al contempo è elemento di lotta: la parola, come ricordava Carlo Levi, può essere pietra. E le pietre più aguzze e pesanti, se scagliate, possono sortire un effetto grave e rumoroso. Il poeta civile, allora, mi sento di dire, costruisce poesie su dinamiche geopolitiche od interne dalle quali prende le distanze, denuncia complotti o macchinazioni infernali che producono vittime e contribuiscono all’inasprimento di odi intestini, allargati o globali”.

A spiegare meglio questo concetto è l’ampia analisi che Spurio dedica ai testi teatrali di Lorca e alle sue poesie mentre questo discorso introduttivo serve a mettere in evidenza il pregio poetico dei componimenti contenuti in questa plaquette. La profondità critico-ermeneutica che Spurio fa sul teatro di Lorca si può riassumere in quelli che sono i punti salienti che lo stesso autore mette in luce. Ai simboli dedica attenzione esplicativa, mirata a far meglio comprendere il loro uso e il loro significato, enunciando che

“Tutte le opere di García Lorca, a partire dal suo vasto corpus poetico alle varie opere teatrali, si caratterizzano per un profondo e ricercato simbolismo. La critica ha studiato con particolare attenzione le sfere semantiche che si concretizzano a livello analogico all’interno dell’universo lorchiano come ad esempio attorno alle immagini della luna, del fiume (e più in generale dell’acqua), del pozzo, del coltello e del colore verde, possibilità questa che non va assolutamente scartata e che, al contrario, potrà essere presa in maggior considerazione da studiosi della materia che, eventualmente, potranno fornire elementi di paragone con maggiore circostanzialità e pregnanza.”

“C’è una luna verde/in tutte le leggende,/luna di ragnatela/e di vetrata rotta/sui deserti/è fonda e insanguinata”

downloadNel teatro torchiano il cromatismo svolge un ruolo fondamentale e Spurio ben lo descrive quando parla del colore delle pareti della casa che in Bodas de sangre sono prima tinte di giallo e  poi di bianco, dell’abito nero che indossa la sposa, dell’abito verde di Adela e del verde della bandiera che ha cucito Mariana Pineda, il verde rabbioso del vestito della Zapatera come il buio della notte e della luce azzurrognola della luna. “Divàn” è un parola araba che significa “riunione” e che intorno al IX secolo assume il significato di “Canzoniere”. In questa plaquette gli elementi folklorici si riunisco in retablo con nuovi temi e nuove suggestioni in cui Spurio cerca di unire quella che è la mitologia gitana con la realtà di Federico anche con l’uso di gacelas e casidas, riscritte in chiave moderna. Il lavoro di Spurio può essere definito un vero e proprio divàn in cui l’autore si mostra padrone delle immagini, apre le vie comunicanti dei sensi e come in un “Tamarit”, huerta fertile di sensazioni ed emozioni, sorprende per il suo  canzoniere che si apre al pari di un fiore di nardo dal profumo poetico. Quella che scrive Spurio è “poesia da aprirsi le vene” (ma l’autore) non si fa affascinare dai grandi specchi oscuri e la sua espressione si fa dirompente anche con l’uso di immagini sconcertanti, ma sempre guidate dalla lucidità di scrittura. L’intelaiatura della poetica di questo canzoniere ha il fascino della novità e conferma lo stato d’animo che ha generato ciascun componimento. Insieme a Federico se ne va con un ragazzo che mangia frutta acerba e sta a guardare come le formiche divorino l’uccellino schiacciato dall’automobile. Come Federico si lascia guidare dalla poetica del duende dove l’angelo, la musa e il demone abbagliano, fanno udire voci, ispirano, proteggono e attraverso luci e forme vanno a svegliare il demone “nelle ultime stanze del sangue”.

“Cuando sale la luna/se pierden las campanas/y aparece las sedas/ de lo impenetrabile”. E se quella di Lorca è una “Luna piena” nei versi di Spurio “La luna si nasconde” perché è talmente impaurita che preferisce non guardare ciò che sta accadendo. Anche qui la luna indossa una “camicia inargentata” ma lo spettacolo che si para ai suoi occhi non è quello del mare che copre la terra, ma quello della  “libertà dissanguata” di Federico che è un rojo pericoloso e va tolto di mezzo perché dà fastidio a causa della sua penna fertile e feconda. Come COVER GARCIA_3_NEW-page-001sempre la sensibilità di Spurio e i suoi molteplici talenti lo portano a scrivere pagine  notevoli che meravigliano, pagine che  dicono al lettore che non c’erano altri testimoni favorevoli al Poeta a vedere la “viltà vischiosa” verso cui la luna prova un moto di stizza e si cela mentre nelle grotte gitane avviene una cosa strana e tutto sembra prosciugato come per un prodigio. Spurio chiede al suo amato poeta dove si trovava alle cinque della sera e cosa stesse pensando in quel momento fatale, mentre cercavano di svilire il suo cuore di uomo e il suo animo di poeta. Dal componimento che apre la silloge, si snoda una circolarità temporale il cui punto di congiunzione è la lirica “Non lontano del limoneto”. Si nota in questa lirica la natura stizzita che non vuol  rivelare  il luogo della sepoltura  visto che è sito di azioni violente e spietate contro la natura stessa e che nonostante le varie operazioni di scavo no si è mai trovato niente, né resti umani o altro. Nella lirica è palese l’invito a lasciare in pace il Poeta sia perché abita la campagna sia perché eventuali ritrovamenti non potrebbero contribuire a riscrivere la storia della sua scomparsa. Risuonano nella lirica di Spurio il luogo di sepoltura di Federico, la sua cattura, la sua condanna a morte, si evidenzia anche tutta la indelicatezza di quanti  vorrebbero smascherare il segreto che il dio Pan conserva geloso, ma lui non si fa trovare perché la sua forma ubiqua  appartiene tanto alle stelle quanto alla terra.” Io vivo nell’acqua e nella roccia” e il mio corpo ha assunto forma panica e sorella acqua mi “sciacqua via il disprezzo” di chi mi ha oltraggiato. La sua anima dolce  e delicata non ha rancore, ma benedice tutti con “manciate di stelle tiepide” ed egli è vivo come acqua limpida e può sorvolare “anche le tombe di quelli che ancora vivono”. Federico vuol essere cercato nelle cose della Natura che sa offrire sempre pace e bellezza e non dove “sfiatano olezzi di paura” mentre Spurio narra in veste di narratore interno e la sua vena immedesimativi lo porta a scrivere versi di ferma volontà e composta nostalgia. Ambedue le liriche attraversano “Il bivio di campagna” e “tra erpici ossidati e chiazze barbute” assistono ad uno dei delitti download (1)più atroci della Storia. Gli aranci si fanno guardiani di quella campagna madre dove le cortecce degli alberi appaiono sfarinate e dolenti per quelle mani ruvide che trascinano il Poeta verso al fine delle sue battaglie; mani che puntano il dito indagatore, che strozzano l’aria, che intimano condanne e insultano sprezzanti; mani callose di uomini indegni, di “maldestri assassini” che nel fragore del piombo gettano nella polvere i capelli scomposti del Poeta e le sue mani liquefatte nella polvere. Mentre “el pelotòn de verdugos/non osò mirarle a cara/, tutti chiudono gli occhi per non vedere,  Federico si solleva non visto  “fra un pianto di stelle”, l’acqua dei pozzi diventa putrida  e si secca e sul volto del Poeta appare “un sorriso di gigli freschi”. Alla morte del Poeta oltre a Machado anche altri amici poeti lo ricordano e gli dedicano poesie: Neruda lo definisce un “narajo enludado”, “ciervo del agua” R.Albert, Benavente scrive che per far morire un poeta bisogna ucciderlo due volte “una con la morte y otra con el olvido” e aggiunge che per quanto riguarda il suo amico, se è facile sotterrarlo da morto, non è altrettanto facile racchiuderlo nella sfera dell’oblio. Ma ad uccidere Lorca, come scrive Spurio, non furono soltanto i colpi di fucile , ma la meschinità e l’ipocrisia della gente verso la sua inclinazione sessuale e la sua immensa bravura artistica. Non mancano tra i componimenti di questa plaquette il richiamo al testo biblico come per la lirica “C’era Ammon” che col suo rimando alla morte  e all’immagine dell’upupa fa venire a mente i versi di Foscolo. In questo componimento si ritrovano tutte le metafore, i miti,le personificazioni, le comparazioni, e le simbologie della cultura gitana. Di grande significato l’ultima strofa con l’esortazione alle donne affinché siano pienamente coscienti nel decidere e denunciare le violenze subite e poter dire che il male è finalmente debellato. “Lamento dell’infante sprofondato” è un componimento assai triste col palese richiamo all’acqua quale elemento naturale e quale liquido amniotico che custodisce la vita, vita che è descritta nella tenera immagine “il villaggio è un presepe di quiete” che assai contrasta con le dita adunche che nel grembo materno vanno alla ricerca della vita per annientarla. Così, come nello stagno lorchiano “è morta una fanciulla d’acqua”, nel sacco materno enunciato e annunciato nella metafora de ”ciclamini sfogliati”, l’amnio si tinge di un colore nero. Il bambino come la ragazza non avrà “due piccole zucche” a tenerla a galla e mentre lo stagno scioglie la “sua chioma d’alghe” dall’altra parte ci sono “code di lucertola in girotondi” a guardare il bambino che correva “verso la riva del fiume con sorriso soave”.

In questa plaquette ci sono versi di una espressività e di una suggestione infinite. Tenerezza nel parlare delle vicende di Lorca che ruba i colori all’entorno e vaga nelle memorie  dei sapienti , alza le rocce a scovare senda-ilegal45717653930191_nscorpioni per  dare luce agli intelletti affinché la germa ruina non debba ancora accadere. Sintetica e pregnante l’immagine di Gea a dire che queste poesie sono una più bella dell’altra; canti soavi in cui la leggerezza espressiva della lirica “Tagliami l’ombra” non scopre in modo repentino l’amarezza che è celata nei versi, ma lascia che sia il lettore a scostare il velo che non la rende del tutto palese. Lascia che sia proprio il lettore a scoprire il  tema della sterilità in quelle “mammelle arancioni/avvizzite dalla disperazione, un  tema più volte trattato da Lorca in più occasioni e collegato all’ode a W. Withman  alla vicenda di Yerma “la poveretta “dai seni di sabbia” che si specchia nella prole delle altre donne perché il suo è un marito che “tiene la cintura fria” e nonostante questo gli resta fedele. Qui il cardo e il pompelmo non sono quelli di una natura ostile, malvagia e pericolosa e  la formica diventa amica dell’uomo e custode del mistero dell’esistenza, un po’ come avviene nel Maleficio de la mariposa dove il malanno non consiste in un ingannevole imbroglio, ma in un innamoramento infruttuoso.

Le mie sono soltanto idee  enunciate con grande umiltà e semplicità di intenti; idee scaturite in un percorso che muore e si  rinnova e poi  si satura con l’omaggio ad un Poeta immenso nella sua produzione artistica e nella sua feconda umanità come vive per  uno scrittore, Lorenzo Spurio,  che a livello simbolico e discorsivo enuncia rara fecondità intellettiva; uno dei pochi scrittori e poeta che non è arido deserto e cardi secchi, ma espressione di creatività  fluente,  innata sensibilità d’animo e attenzione alle vicende dell’ Uomo nella sua interezza di vita e letteraria. E tutto questo perché “la luce del poeta è la contraddizione” e sempre “risuscita a primavera”.

Lucia Bonanni